«È un fottuto bastardo. Un figo da paura, ma comunque, un fottuto bastardo.»
«Chi?» Con un’espressione accigliata, Sofia McBride alzò lo sguardo dalla sua cartellina e guardò la sua assistente.
«Cade Donovan.»
Sofia seguì la direzione dello sguardo della donna, non si considerava una tipa svenevole, ma...
Lui era in piedi accanto alla reception vicino alla porta d’ingresso del country club. Indossava un tuxedo, uno smoking nero dal taglio attillato che metteva in risalto le sue spalle larghe e la sua vita sottile e, al posto del tipico papillon, sfoggiava una sexy cravatta Western Buldogger allacciata intorno alla gola — una combinazione interessante tra l’abbigliamento formale del cowboy e il tradizionale abito da sera. Gli stivali in pelle, lavorati con cura, erano lucidati a specchio e il cappello da cowboy era in feltro nero.
Anche dal fondo del corridoio, lei aveva notato il suo accattivante e affascinante pizzetto.
Sebbene non l’avesse mai incontrato, era pur sempre cresciuta a Corpus Christi, a un’ottantina di chilometri dal Running Wind Ranch, quindi sapeva chi era Cade Donovan. Era considerato esponente della classe alta locale. E lei aveva sentito parlare delle sue imprese: auto veloci, campionati di equitazione, donne, e tutti i privilegi che i soldi potevano comprare.
Era appetitoso. Visto quanto era attraente, senza dubbio si era guadagnato ogni briciolo della sua reputazione.
La donna all’ingresso gli indicò la Bayou Room, dove Sofia e Avery stavano dando gli ultimi ritocchi ai preparativi per il matrimonio di Lara e Connor Donovan. Cade sfiorò la tesa del suo cappello in un modo che le ricordò un fascino d’altri tempi.
«Si sta dirigendo da questa parte» disse Avery senza motivo.
«Vai a lavorare.»
«Che ne dici di scambiarci i ruoli per la serata?» suggerì la sua assistente. «Tu puoi andare al Ballo dei Petrolieri e io rimango qui.»
«Assolutamente no.» La risposta di Sofia non aveva niente a che fare con Cade ma riguardava solo la sua amica Lara, che si era appena sposata e che era entrata a far parte di quella famiglia.
Nonostante fossero state invitate solo un paio di centinaia di persone al ricevimento di quella sera, e il country club fosse uno dei luoghi migliori in cui lavorare, Sofia voleva essere presente per la sua amica.
«Ma, ma... quello è Cade Donovan.» Avery sporse il labbro inferiore in maniera esagerata.
E Sofia aveva intenzione di conoscerlo. A cena, la settimana precedente, Lara aveva accennato al fatto che Connor fosse un Dominatore e lei era curiosa di sapere se anche gli altri fratelli lo fossero. «Mi prenderò cura di lui.»
«Non sei mai stata brava a condividere, capo.»
«Vattene.»
«Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa...»
«Buona fortuna con la signora Davis.» Sofia aveva sinceramente bisogno delle abilità di Avery al Ballo dei Petrolieri. Sulla lista degli invitati c’erano cinquecento persone e la stampa sarebbe stata presente.
Zoe, la sorella di Sofia, era stata per tutto il pomeriggio all’hotel nel centro di Houston, a supervisionare l’allestimento dell’impegnativo evento. La signora Davis, la responsabile del ballo, era notoriamente esigente, e nell’ultimo mese aveva apportato molte modifiche ai preparativi. La capacità di Avery di dire di no, pur mantenendo il cliente soddisfatto, era un’abilità che Sofia doveva ancora padroneggiare. «Sei crudele, un capo davvero crudele.»
«Potresti incontrare un ricco magnate del petrolio.»
«Vero» ammise l’altra con un sorriso sfacciato. Avery aveva ventinove anni e si era fissata l’obiettivo di sposarsi entro i trenta. Non che mancassero uomini interessati a lei, ma non si sarebbe accontentata di uno qualunque, e insisteva sul fatto di volere un uomo che potesse mantenerla con scarpe molto costose e che le desse un budget mensile adeguato alle borse da abbinare.
Dopo aver raccolto le sue cose, Avery si diresse all’uscita posteriore attraverso la cucina.
Sofia raddrizzò le spalle e si diresse verso la parte anteriore della stanza per salutare Cade, che si era fermato sulla soglia. Lo sguardo dell’uomo si fissò su di lei. Non batté ciglio, non guardò altrove. Al contrario, la scrutò come se fosse l’unica persona sul pianeta.
Era sconcertante e inebriante.
La sua pratica gonna nera sembrò improvvisamente un po’ stretta, i tacchi delle sue scarpe di vernice un po’ troppo alti. Nonostante ciò, si sforzò di essere professionale, cosa che improvvisamente non pensava di essere. «Signor Donovan.» Gli rivolse il suo miglior sorriso. «Sono Sofia McBride. Amica di Lara e organizzatrice dell’evento.»
«Sono in anticipo» disse Cade porgendole la mano.
Poiché era la cosa più educata da fare, lei la strinse.
La mano di Cade era molto più grande della sua. All’improvviso, la sua presenza sembrò consumarla. Il suo profumo era cuoio intriso di intensità. Era eccezionalmente alto con una mascella cesellata, e il suo naso era stato rotto, forse più di una volta.
Sofia dovette alzare un bel po’ gli occhi per incontrare il suo sguardo. Lui aveva due iridi di un freddo color canna di fucile. La sua postura esprimeva una sicurezza che rasentava l’arroganza. Sembrava che indossasse il potere con la stessa disinvoltura con cui sfoggiava la sua giacca da smoking.
L’aria intorno a Cade crepitò con intensità, e una parte di lei si sentì come se fosse stata trascinata in una sorta di vortice.
La settimana prima, quando si era incontrata con Lara, la sua amica le aveva confessato che lei e Connor condividevano una relazione BDSM. La notizia aveva lasciato Sofia senza parole. Aveva letto libri e visto un paio di film sull’argomento ma, a parte il fatto che si trattava di sesso atipico, non ne sapeva molto, e non aveva mai conosciuto nessuno che ne fosse coinvolto.
Una volta superato lo shock iniziale, Sofia aveva iniziato a fare domande. Lara aveva risposto in modo molto diretto, condividendo abbastanza informazioni da rendere Sofia ancora più curiosa. Quando era tornata a casa, quella sera, aveva acceso il suo computer e fatto una ricerca su Internet. Alcune delle cose che aveva visto l’avevano fatta trasalire, ma l’idea di essere legata aveva popolato alcune delle sue recenti fantasie.
In quel momento, si chiese pericolosamente se anche a Cade piacesse il BDSM, e le balenò l’immagine inquietante e maliziosa di essere sulle sue ginocchia mentre lui la sculacciava.
Con un piccolo brivido — in parte per l’apprensione, in parte per la curiosità — tirò indietro la mano. «Stiamo solo dando gli ultimi ritocchi prima che arrivino Connor e Lara» disse, anche se non ce n’era bisogno.
Poiché la coppia si era sposata poche settimane prima, il programma della serata era un po’ insolito. La famiglia doveva incontrarsi alle cinque per le foto, l’ora del cocktail era prevista per le sei, quindi la cena alle sette.
«Posso fare qualcosa per aiutare?»
L’offerta la colse di sorpresa. «Grazie, ma penso che abbiamo tutto sotto controllo.»
«Se ha bisogno di qualcosa, mi avvisi.»
Sofia si chiese se avesse immaginato una leggera enfasi sulla parola qualcosa.
La fotografa lanciò un allegro saluto al suo arrivo, e Sofia fu grata dell’interruzione. «C’è un bar vicino al ristorante, se preferisce può aspettare lì.»
Un accenno di sorriso gli sfiorò la bocca, ma invece di ammorbidire la sua espressione, lo fece solo sembrare ancora più pericoloso.
«Sta cercando di liberarsi di me, signorina McBride?»
Sì. Quell’uomo l’aveva decisamente innervosita. «Desidero solo che si senta a suo agio.»
«Posso ordinarle qualcosa mentre sono lì?»
«Grazie.» Sofia scosse la testa. «Ma io non bevo mentre lavoro.»
«Segue sempre le regole?»
Anche se il suo tono era leggero, la domanda sembrava seria. «Mi piacciono le regole» rispose lei.
«Davvero?»
«Aiutano a mantenere l’ordine nella mia vita.»
«È una cosa positiva?»
«Non lo è?» controbatté lei. Anche mentre rispondeva, non era sicura del perché stesse avendo quella conversazione, né della ragione per cui stava rivelando parti di sé a un estraneo.
«Non è mai stata tentata di mandare al diavolo tutto ed esplorare quello che la vita può offrirle?»
«Quando si tratta di affari, sì.»
«E per il resto?»
«No.» Ma, onestamente, in quel momento lo era.
La fotografa posò il suo zaino su una sedia poi si avvicinò, risparmiando a Sofia ulteriori discussioni.
Sofia li presentò, poi si scusò per raggiungere il DJ e mostrargli dove sistemarsi.
Nei dieci minuti successivi, tre generazioni di Donovan cominciarono ad arrivare, e Connor e Lara la presero da parte.
«Abbiamo bisogno del tuo aiuto per una cosa» disse Lara.
«Tutto quello che vuoi.»
«Julien Bonds ha accettato l’invito solo dieci minuti fa. È un vecchio amico di Connor.»
Solo la professionalità le impedì di rimanere a bocca aperta. C’erano diversi texani di alto profilo nella lista degli ospiti di quella sera, incluso un senatore, ma Julien Bonds? Il genio di quell’uomo era leggenda. All’apertura del suo nuovo negozio monomarca, Sofia aveva aspettato in fila diverse ore per comprare il suo ultimo gadget portatile. Lui aveva partecipato all’evento per breve tempo. Se n’era andato solo pochi minuti prima che lei potesse incontrarlo.
Circa due anni prima, Sofia aveva scritto alla sua azienda, sperando di trovare un’applicazione che le permettesse di fare presentazioni di lavoro più efficaci. Con sua grande sorpresa, uno degli ingegneri di Bonds aveva risposto. Nel giro di un paio di settimane, due dei suoi programmi preferiti erano stati completamente integrati. Il cambiamento aveva fatto la differenza, il suo successo era stato incredibile, e lei aveva sempre voluto dirglielo.
«Ha richiesto di non essere fotografato» continuò Lara.
«Capisco.» Dal momento che quasi tutte le persone presenti avrebbero avuto un telefono cellulare, quello rappresentava una sfida. «Posso assicurarmi che Heather non faccia scatti professionali» disse. «Ma come vuoi che mi comporti con gli altri ospiti?»
«Speravo che tu avessi delle idee.»
«Era quello che temevo.» Soprattutto quando lei stessa voleva una foto con lui, quindi annuì, sperando di trasmettere una fiducia che non provava.
«Non arriverà prima delle nove.»
Sofia controllò la sua agenda. A quel punto, l’alcool sarebbe già stato in circolazione da un paio d’ore. «Ci sarà qualcuno con lui?»
Lara e Connor si scambiarono uno sguardo.
«Guardaspalle?» chiarì Sofia. «Un entourage?» All’inaugurazione del negozio aveva avuto almeno una mezza dozzina di persone che lo circondavano.
«Non che io sappia» disse Connor.
«Puoi scoprirlo?» Probabilmente la migliore soluzione al problema era quella di impedire alla gente di vederlo.
Connor si allontanò per fare una telefonata.
«Come stai?» Sofia chiese a Lara.
«Bene. Felice. Nervosa.» Lo disse di getto.
«Lascia che sia io a preoccuparmi al posto tuo.» Sofia strinse la mano di Lara in modo rassicurante. «Il tuo compito è quello di goderti la serata. Sarò nelle vicinanze se hai bisogno di qualcosa.»
Lara sorrise.
«Sei bellissima» disse Sofia. «La perfetta signora Donovan.» Lara irradiava eleganza e raffinatezza nel suo abito corto, aderente, di pizzo color crema. «Il matrimonio evidentemente ti fa bene.»
«Più di quanto avrei immaginato.» La sua amica arrossì e accarezzò lo splendido girocollo d’oro che aveva al collo.
Una serie di diamanti scendeva dal metallo per accoccolarsi nell’incavo della gola. In seguito alla loro chiacchierata, Sofia sapeva che si trattava di qualcosa di più di un gioiello. La collana era un simbolo esteriore della sottomissione di Lara a suo marito.
Sofia non lo capiva del tutto, ma non poteva negare che l’amica sembrava felice, soddisfatta come non lo era mai stata prima. Quando glielo aveva fatto notare, Lara aveva detto che non era sicura se quella sensazione derivasse dall’essere sposata, dalla forza dell’acume per gli affari del suo nuovo marito, o dalla sottomissione. Dopo un bicchiere di vino, aveva ipotizzato che probabilmente era la combinazione di tutte e tre le cose.
«È stato tutto così improvviso che non avrei potuto farcela senza di te» disse Lara.
«Non ti avrei mai abbandonata» rispose Sofia. «Per favore, fatemi sapere se c’è qualcosa di cui avete bisogno.»
Connor tornò e sfiorò la spalla di sua moglie. «Julien avrà due uomini con sé. E da quel che ho capito resterà qui solo per poco tempo. Più che altro viene per gongolare. Pensa di aver contribuito a far funzionare la nostra relazione, e gli piace sentirsi un genio.»
«E l’ha fatto? Ha avuto una parte nella vostra relazione?»
«È un buon amico con buoni consigli» rispose Connor.
«Parlerò con il DJ. Potrebbe suonare una canzone che coinvolga molte persone. Il twist, il ballo in linea per esempio. A parte questo, contatterò il personale del country club e la sicurezza per vedere cosa possiamo fare. Forse possiamo farlo entrare dal retro. Trattenerlo nel patio o qualcosa del genere.»
«Troverai una soluzione» disse Connor, la sua voce non conteneva alcuna traccia di dubbio.
Sofia chiese il numero di contatto di uno degli uomini di Julien. «Farò meglio che posso» promise.
La fotografa fece segno di essere pronta per gli sposi, e Lara e Connor si scusarono.
Mentre la coppia era impegnata, Sofia andò alla ricerca della squadra di sicurezza del country club. Convenirono che far entrare l’entourage di Bonds dal patio era l’opzione più consona e le suggerirono di dare un’occhiata lei stessa.
Dopo aver salutato gli altri membri della famiglia in arrivo, confermò il cambiamento di programma con il DJ e gli chiese aiuto per tenere l’attenzione lontana da Julien.
«Non c’è problema» la rassicurò l’uomo. «Possiamo creare qualche effetto con l’illuminazione e realizzare una cabina fotografica per registrare fotografie e video messaggi d’auguri per gli sposi.»
«C’è un motivo per cui mi piace lavorare con te, Marvin.»
«Tutto merito della mia voce» disse lui, il tono basso, come miele versato su un coltello seghettato.
«Dovresti esibirti alla radio» gli rispose. «Le notti, in un’emittente dedicata esclusivamente al romanticismo, sempre e comunque.»
«Sono il tipo giusto.»
«Stai flirtando» disse lei.
«Sì.» Lui scrollò le spalle.
«Ok, abbocco. Sei un bell’uomo.»
Marvin si raddrizzò la cravatta e si pavoneggiò. Poi, da bravo professionista, scrisse una nota sulla sua scaletta mentre lei si allontanava.
Prima di lasciare la stanza, Sofia non poté fare a meno di dare una sbirciatina a Cade. Anche se stava accanto ai suoi splendidi fratelli, non sembrava integrarsi completamente. Il suo sorriso non era genuino come il loro, e il suo smoking e il cappello in stile western lo distinguevano. Lui era più alto, più robusto, più... Lei si considerava pragmatica, ma l’unica parola che le veniva in mente era: meditabondo.
Scuotendo la testa, si recò a controllare che tutto fosse pronto per l’ora del cocktail nell’altra stanza.
Il quartetto era in posizione su un palcoscenico e stava accordando gli strumenti. Due camerieri attendevano dietro il bar. Il direttore del banchetto confermò che gli antipasti sarebbero stati serviti dieci minuti dopo. Tutti i centrotavola e le decorazioni erano perfetti.
Infine, Sofia uscì per controllare il patio.
In quel momento, era troppo caldo e umido per essere accogliente. Dalle travi in alto pendevano dei ventilatori, le cui pale sembravano muoversi a fatica nell’aria densa.
Più tardi, però, le luci provenienti dalla Bayou Room e la vista del centro di Houston, unite a temperature più miti, lo avrebbero reso un luogo ideale.
Sofia ordinò un’acqua frizzante alla barista. Voleva godersi gli ultimi minuti di pace, perché sicuramente non ne avrebbe avuti nelle successive due ore.
«Limone o lime?»
«Lime, grazie.» Prese il suo ordine e fece il giro del patio. Trovò un cancello che portava verso il lato dell’edificio. A terra c’era la ghiaia, con delle lastre di pietra. Quel passaggio poteva essere il modo migliore per far entrare Julien senza disturbare troppo i festeggiamenti..
Si fermò sul retro del patio vicino a un’enorme palma in vaso. Se fosse riuscita a convincere alcuni operai a spostare le piante, avrebbero potuto bloccare la visuale di buona parte di quella zona.
Cade uscì all’esterno e, senza esitare, si diresse direttamente verso il bar.
Sofia si ripeté che lui non l’aveva seguita, ma non poteva esserne sicura.
La barista avvolse un tovagliolo intorno a una bottiglia di birra e gliela porse.
Sofia lo guardò mentre lasciava cadere una banconota nel barattolo delle mance. A giudicare dall’espressione esterrefatta della donna, erano parecchi soldi. Se non fosse stata già attratta da lui, avrebbe cambiato idea in quell’istante.
Poi Cade si voltò. E se lei aveva avuto qualche dubbio sul fatto che lui l’avesse seguita, ora era stato fugato.
Lui rimase dov’era.
Calore e un certo rimescolio interiore la scossero. Non avrebbe dovuto essere attratta da lui, ma dannazione, lo era.
Forse avrebbe dovuto occuparsi del Ballo dei Petrolieri e lasciare Cade ad Avery. Ma subito respinse quel pensiero. Per quanto lui la innervosisse, la irretiva. Il suo sesto senso le diceva di correre, prima di non esserne più in grado. Però il suo corpo si rifiutava di obbedire agli ordini della mente.
Strinse entrambe le mani attorno al suo bicchiere mentre lui si avvicinava.
«Glielo avrei preso io» disse lui, indicando il suo drink.
«Penso che, come organizzatrice di eventi, sia mio compito assicurarmi che ci si prenda cura di voi.»
«È sempre compito dell’uomo assicurarsi che i bisogni della donna siano soddisfatti.»
Lui non aveva detto nulla di provocatorio, quindi perché lei stava reagendo come se l’avesse fatto? «Grazie. Ma sono abituata a prendermi cura di me stessa.»
Sofia si accorse che l’uomo aveva gettato uno sguardo verso la sua mano sinistra.
«Per scelta?» le chiese.
«Questa è una domanda indiscreta, signor Donovan.»
«È vero» concordò.
Ma Cade non si arrese. Sembrava invece sinceramente interessato a saperne di più su di lei. Quanto tempo era passato da quando le era successo? Mesi? Forse anni? Poi la verità la colpì. Non le era mai capitato che un uomo fosse così curioso e che non si tirasse indietro quando lei glielo faceva notare. Cade Donovan era diverso dagli altri uomini che aveva conosciuto. Quello, più di ogni altra cosa, fu ciò che la incoraggiò a rispondere. «Mia madre è stata abbandonata da mio padre alcolizzato quando ero molto giovane.»
Lui trasalì.
«Ho dovuto prendermi cura della mia sorellina. Appena ho potuto, ho aiutato mia madre a cucinare torte e crostate per i ristoranti locali. A volte rimaneva sveglia tutta la notte. Non so davvero come abbia fatto. Si è risposata con un uomo meraviglioso alcuni anni dopo, ma ho imparato presto alcune lezioni importanti, e non le ho mai dimenticate. Sono andata a scuola con una borsa di studio. E mi sono fatta il culo per comprare l’attività di mia madre ed espanderla.» L’irritazione la scosse. «Quindi è difficile sostenere che sia stata una scelta. Ho fatto quello che dovevo per necessità.»
«Sembra che abbia fatto un buon lavoro.» Cade non distolse mai lo sguardo e inclinò la sua bottiglia di birra verso di lei in segno di apprezzamento.
«Sono cresciuta a Corpus Christi» affermò. «Conosco la sua reputazione.»
«Eppure sta ancora parlando con me.»
«Alcune cose sono positive» rispose lei.
«Questo mi sorprende.»
«Veniamo da ambienti molto diversi.»
«Davvero?»
C’era qualcosa nella voce Cade, forse sofferenza, o, piuttosto, dolore.
La sua approvazione, la manifestazione della sua stessa angoscia, fece scattare qualcosa in lei. Contrattaccare? Il bisogno di spiegare, giustificare, difendere il modo in cui era cresciuta? Non c’era voluto molto perché Cade Donovan avesse un impatto su di lei.
Le arrivò un messaggio, appoggiò il drink sul muretto di mattoni, che le arrivava alla vita, e prese il suo telefono dalla tasca della giacca. Era il direttore del country club.
«Il dovere chiama?» chiese Cade.
«Temo di sì.»
«Spero di rivederla più tardi.»
Sofia non rispose. Le parole dell’uomo erano sembrate più una promessa che una dichiarazione, e una parte segreta di lei sperava che lui fosse serio. Voleva altro tempo con quel tenebroso e misterioso fratello dei Donovan.
Lui rientrò. Quando ebbe recuperato la calma, Sofia chiese al direttore di incontrarla nel patio.
Gli espose i suoi suggerimenti sullo spostamento dei vasi, il direttore annuì e convocò alcuni membri dello staff del banchetto. Portarono fuori un carrello a mano, spostarono i grandi vasi e crearono una zona appartata non lontano dal cancello.
Soddisfatta del risultato, Sofia informò la squadra di Julien del piano e poi cercò Connor per aggiornarlo.
L’unica cosa che le dispiaceva era il fatto che ancora una volta non avrebbe potuto incontrare l’inafferrabile Julien Bonds e avere il suo autografo sulla custodia del suo cellulare. Cosa potrebbe esserci di meglio della sua firma proprio sotto il logo di Bonds?